Una Waterloo
Sabato doveva essere una giornata decisiva per il calcio. Due le forze in campo, guidate da Zappi e Trentalange. Il primo, 59 anni, ex arbitro da quarant'anni nell'AIA, aveva lasciato nel '98 per infortunio e l'altro, 67, ex internazionale, secondo solo a Collina per presenze, 149, già Presidente dal febbraio '21 al 18 dicembre '22. Si decideva il futuro della categoria, la più importante del pianeta calcio. Perderla significava non contare più nulla. In un Paese dove le dimissioni sono un istituto non riconosciuto e dominato dal "tutto cambi perché niente cambi", Trentalange e soci non avevano chances.
Solo per caso Davide aveva battuto Golia. Eppoi conoscevo gli arbitri. Sapevo delle guerre intestine all'ordine del giorno, ma sono anguille, non li prendi mai. Inoltre l'ispiratore di Gravina è Giancarlo Abete, Presidente dei Dilettanti, mai sconfitto in tempo di elezioni. Alle corte, il programma dei riformisti poteva essere più che degno, ma guai toccare l'AIA. Credevano la FIGC simile a un'impresa. Avevano preparato il sorpasso con commercialisti di prim'ordine e trovato soldi dagli sponsor. L'autonomia avrebbe certamente portato vantaggi, ma il calcio, se è il gioco del potere, non poteva sfuggire ai padroni del vapore. Lotta impari tra dilettanti allo sbaraglio e navigati professionisti. Una Waterloo prevista, come dicono i numeri, 72,3 a 26,4. La dimostrazione che si poteva evitare sta nel fatto che le risposte alle richieste erano in gran parte negative. Convinti della bontà del progetto, si ripeteva che al momento del voto, nel segreto dell'urna, gli elettori avrebbero cambiato. Si dimenticava una categoria dalla difficile lettura, dove l'interesse personale ha la meglio su quello generale, per paura, convinzione o quieto vivere.
Era facile prevedere che il Presidente degli arbitri della FIFA, Collina, certamente un numero uno, e quello dell'UEFA, Rosetti, non avrebbero preso in esame l'ipotesi del cambiamento. Tanto meno Rocchi, designatore ancora per un anno, Orsato, probabile sostituto, e Braschi. Si dovevano ritirare in buon ordine. Costanza, perseveranza e silenzio dovevano essere dalla loro, come in una precedente occasione, ma avevano dimenticato una frase di Goethe: "Parlare è un bisogno, ascoltare un'arte" e quel proverbio: "Chi parla semina, chi ascolta raccoglie" e dall'altra parte, guarda caso, c'era uno, Abete, che sta sempre zitto. E ora tremenda vendetta. Probabilmente sarà riservato un posto a Trentalange, per una partita di Serie A, e al vice, Duccio Baglioni, l'uomo da abbattere, per gli allievi.
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